Lo Zen e l’arte di capire che…

… ci sto a fare su questa tavola!
Della serie “peccato che non c’era spazio sul cartaceo”, ecco questo bel contributo dell’amico Johnny Banzai, su sup, windsurf e…

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Circa tre anni fa, a Fuerteventura, aspettando il vento per poter fare windsurf, sono salito su una grande tavola galleggiante e con un remo in mano ed ho provato a muovermi sulla superfice dell’acqua.
Oggi provo a scendere onde (surfing) praticando uno sport conosciuto come SUP (Stand Up Paddling) . Mi sono appassionato a questo sport ben oltre la cinquantina, e da qualche anno mi ci dedico con l’entusiasmo di un ragazzino (ovviamente senza abbandonare il primo amore, il windsurf).
La differenza però è che come in molte delle cose che si fanno in età matura, non ci si proietta solo in avanti come farebbe qualsiasi “giovanicello” che si lancia in una nuova attività sportiva dove il miglioramento e la competizione sono i principali obiettivi, ma si vive invece ogni una nuova esperienza anche come uno spunto per piccole introspezioni interiori, come opportunità per conoscersi e molte volte per “riconoscersi “
Per chi non pratica questo sport, dirò solamente che si tratta di scendere onde adeguatamente formate, in piedi, su una tavola (anche questa adeguatamente sagomata) , usando per raggiungere il “line up” (così si chiama la linea immaginaria dove iniziaìno le onde surfabili) e per la propulsione iniziale, una pagaia lunga più o meno come l’altezza del surfer.
Lo scopo di queste righe non è però la stesura di un manuale tecnico (che lascio ai professionisti  …) su come si pratica questo sport ma è raccogliere qualche pensiero e qualche riflessione nate in questo percorso parallelo all’apprendimento.
Nel mio passato ci sono oltre 25 anni di windsurf (seppur con alcune pause) che hanno stratificato la mia memoria con tanti ricordi che è difficile ora isolare e tirare fuori separandoli singolarmente.
La sensazione della prima planata, la prima volta (e non l’unica…) che me la sono vista brutta (e momenti ci lascio la pelle) , gli amici con i quali ho condiviso ed ancora condivido le uscite e le zingarate alla ricerca del vento, tutti questi flash ed altri, si confondono in una miscela di ricordi fatta di alzatacce all’alba, di freddo,  di chilometri e dei capricci di Eolo,  ma anche di uscite fantastiche e di aneddoti da ricordare e da “accumulare” spero ancora per molto tempo.

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Il bello di quando sei in acqua è che ognuno vive quel momento a modo proprio.
Nella mia personale opinione, se il windsurf è la velocità, è l’adrenalina, è il misurarsi con le proprie paure, è l’andare oltre, il surfing (anche quello senza pagaia) è invece l’interiorità e la ricerca di se stessi, e lo è tanto quando scendi un ondina liscia di soli 50 cm che quando sul picco di un onda grande e potente guardi i metri di sotto e ti ripeti che sei li per quello e cerchi di vedere te stesso in fondo a quell’onda.
In entrambe i casi, in quel mare sconfinato e così più grande di te, stai cercando la tua dimensione, risposte a domande che forse neanche ancora ti sei fatto.
In un bellissimo libro che suggerisco a tutti, “L’arte di correre” ,  Murakami citava a sua volta un certo Somerset Maugham che scrisse: “anche nell’atto di farsi la barba c’è una filosofia” e che, (parafrasando sempre Murakami ) nella dimensione del surf, si declina nel fatto che nell’azione di scendere e surfare una anche modesta onda, se ripetuta, questa ingenera una sorta di intuizione estetica.
Se quindi lo svantaggio di aver iniziato questa pratica in età matura è una limitata elasticità fisica e la mancanza di quella giovanile esplosività muscolare, il vantaggio è la possibilità di percepire e vivere questa pratica attraverso la ricerca di una traccia che interpreti questo nuovo percorso interiore carico di analogie e simbolismi.
La (a volte masochista) pratica dell’introspezione non è normalmente tipica di un età giovanile e comunque non è neanche scontato che tutti la vivano (o ne sentano la necessità), anche quando non sono più giovani…e soprattutto nei casi in cui pensano ancora di esserlo. 
Dopo un inizio “fai da te”, condiviso con gli amici più stretti di tante uscite in windsurf, ho avuto l’opportunità (e direi anche la fortuna) di incontrare persone che mi hanno trasmesso la tecnica e le conoscenze ma soprattutto la cultura necessaria alla piena pratica di questo sport (molto vicino al surf naturale) e che senza volerlo hanno innescato questo percorso parallelo che attraverso queste poche modeste riflessioni vorrei condividere.

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Così come accade anche in altre pratiche sportive, i grossi marchi, nella spinta di incrementare le vendite ed i profitti, offrono tantissimi prodotti che rinnovano continuamente e che poi hanno spesso l’effetto però di confondere i principianti (e non solo loro) che si avvicinano a questo sport, portandoli a scegliere una attrezzatura senza capire in fondo i motivi della scelta.
Spesso si assimila a quella o l’altra tavola la possibilità di fare cose viste in foto o video, portando a scelte che invece non sono dettate da esperienze fatte sulla propria pelle e con i propri piedi.
Una discreta, divertente e soddisfacente pratica del supsurfing, sempre più simile al surf tradizionale, si fa su tavole adeguate (dimensioni, volume, distribuzione dello stesso e linee d’acqua adeguate) ma soprattutto secondo me, attraverso un percorso di riappropriazione di capacità e di percezioni che spesso, parlando di adulti praticanti, sono state dimenticate e perse.
Elogio del piede e della paraffina…
Abituato nel windsurf alle strap (le fascie che infilando i piedi dentro tengono il surfer attaccato alla tavola e permettono salti ed altre manovre radicali) ed ai pad ( i tappettini di gomma che evitano di scivolare) ho invece iniziato ad utilizzare la paraffina, che si stende direttamente sulla tavola aumentandone il grip (la presa)  evitando così di scivolare. Anche se la stesura della cera rende la preparazione all’ingresso in acqua più macchinosa e meno immediata, attraverso il gesto di stenderla ed il tempo che questo richiede, si stimola a mio avviso la concentrazione.
Attraverso la ripetizione di un  gesto legato soprattutto al ricordo di esperienze positive (Mental Toughness Training for Sports di di James E. Loehr)  è più facile raggiungere lo stato di flow mentale che nell’acqua (e non solo……) poi fa la differenza.
Certo è che se ci metti più tempo a stendere la paraffina che a surfare….qualcosa non va.
L’eccessiva preparazione pesa come il non essere preparato
Diverse volte nella vita di tutti i giorni mi è capitato di vivere eventi o situazioni per i quali avevo grandi aspettative senza però arrivarci “preparato” nel modo giusto.
Tanti anni fa giocavo una partita a Squash, un gioco che solo oggi a distanza di anni capisco che mi piacesse così tanto proprio perché così istintivo e fisico.
Era un torneo ed mai come allora ero arrivato così in alto nel tabellone. L’avversario era superiore a me ed avevo poche chance. Arrivai a quella partita carico come una molla, sovraccaricato di ragionamenti e di strategie pre-gara e diciamolo…di seghe mentali.
Bensì cercassi di ragionare ad ogni scambio, persi il primo set miserevolmente.  All’inizio del secondo set durante un cambio palla, la stessa rimbalzò su uno spigolo e mi centro l’occhio. Il dolore e la preoccupazione mi costrinsero a lasciare temporaneamente la partita che fu sospesa per qualche minuto. Visto che per fortuna non era successo nulla, felice per lo scampato pericolo tornai rapidamente a giocare, senza però più pensare a come era andata nel primo set ed a tutte le “strategie” che avevano affogato il mio cervello.  Libero da quelle sovrastrutture, in uno stato di trance (era come se mi guardassi giocare da fuori) ho giocato a detta dei presenti la più bella partita della mia vita, portandomi a casa come ricordo un orologio che ancora ho, consegnatomi dall’ambasciatore del Kuwait nel primo anniversario della liberazione. …una bella cosa da raccontare , seduto con i nipotini, vicino ad un camino, mentre sbuffano e  si girano a dall’altra parte….
Non ricordo nulla di quella seconda parte della partita, solo le emozioni ed a distanza di anni, sono ancora vive.
Pensare con i piedi…
Avere i piedi nudi direttamente a contatto con la tavola è per me un’esperienza ogni volta bellissima ed intensa. Quando se ne percepisce la sensazione è difficile poi riabituarsi al tappetino di gomma (pad) o peggio ancora alle scarpette.
Le scarpe anche e soprattutto nella vita di tutti i giorni, ci hanno tolto la capacità di percepire il mondo sul quale ci poggiamo. Siamo sempre un po’sospesi, non percepiamo fisicamente il nostro essere su questo mondo..
E’ un po’ come la differenza che c’è tra una esperienza di gioco virtuale ed una vissuta realmente.
Muoviamo le gambe una dopo l’altra in avanti ma non molto diversamente da come faremmo con degli arti meccanici. I nostri impulsi partono dal cervello e vanno attraverso le gambe fino ai piedi ma non ricevono nulla indietro se non la sensazione di costrizione di una scarpa stretta o di un sassolino tra scarpa e piede.
Quando senti la tavola che oscilla assecondando il movimento del mare o che vibra scivolando veloce su un onda ripida, allora inizi ad sentire ed a percepire sensazioni utilizzando i piedi che, inviando al cervello impulsi elaborati, arricchiscono e contemporaneamente attingono alla nostra memoria emozionale.
Non sono un “addetto ai lavori” ma ultimamente, leggendo qualche testo sull’Intelligenza Emozionale, sull’apprendimento “emozionale” ed un altro sulla gestione dei conflitti nei gruppi di lavoro, viene richiamato spesso il “sistema limbico”, quale elemento determinante nella capacità di percepire una certa situazione od un problema e rispondere con razioni e comportamenti adeguati ed efficaci.
Il sistema limbico si assimila spesso all’uomo primordiale da cui deriviamo, per intenderci all’animale (se non il rettile in alcuni casi) che è dentro di noi.
Mi sono fatto l’idea che l’azione della cultura volta a razionalizzare e spiegare ogni emozione,  in realtà stia facendo l’effetto delle scarpe; quando te le togli…ti senti nudo e non sai più che animale sei.
Si è di fronte al rischio concreto di perdere definitivamente la capacità di affidarci all’istinto (che altro non è che è la reazione veloce della nostra intelligenza emotiva) ed a tutti gli altri comportamenti primordiali.
Non nego la necessità di razionalità, di capire e di interpretare noi stessi e quello che ci circonda con dei modelli anche astratti …e tanto meno la necessità di scarpe….., ma credo che soffocare la nostra parte animale non ci aiuterà a vivere meglio.
Non a caso abbiamo nel nostro cervello due organi, il talamo (che raccoglie gli stimoli sensoriali) e l’amigdala (che è la parte del sistema limbico specializzata nelle “questioni emozionali”) che consentono di rispondere a stimoli immediati anche potenzialmente pericolosi. Un bambino scappa istintivamente davanti ad un pericolo prima di sapere esattamente che cosa sia.
Questo comportamento lo attiviamo probabilmente attraverso una memoria emozionale (per alcuni considerata anche collettiva e quindi ereditata) che secondo gli ultimi studi risiede proprio nell’amigdala.
Insieme alla precorteccia, il triangolo formato con  il talamo e l’amigdala,  consente una risposta emotiva mediata in prima battuta dalla razionalità e quindi una risposta emotiva più ponderata rispetto al puro percorso istintivo talamo-amigdala, ma stiamo parlando sempre di “animale”, più evoluto forse,  ma animale e comunque lontani dall’essere tutto pensiero e razionalità, modello imposto dalla nostra società.
Ci sarà un perché i bambini che appena vedono un prato verde si tolgono le scarpe…..e perché sono “certi tipi di adulti “a censurare questi comportamenti.
Picasso disse “ho impiegato una vita per dipingere come un bambino”  .le analogie le lascio a che legge.
Forse non è poi così male “pensare con i piedi”.
La tavola…
Anche se gli hawaiani cavalcavano le onde in piedi già ai tempi del Capitano James Cock, il sup surfing ha preso piede (è proprio il caso di dirlo…)  relativamente poco tempo, anche se poi il numero di praticanti sta crescendo esponenzialmente e questo le case produttrici di tavole lo hanno capito….
Tutti iniziano con una tavola grande. La tavola grande ti fa sentire stabile e sicuro ma in realtà se ti devi veramente “muovere” (vedi trasformare, crescere) questa poi ti imbriglia e ti rallenta e ti limita.
Il volume della più limitato della tavola inizialmente può dare una sensazione di instabilità. Poi si cade, ma si impara a anche a rialzarsi.
Non sono un talebano su questo argomento, personalmente credo in un approccio graduale, graduale ma continuo.
E’ difficile pensare di migliorare senza cambiare.
Forse il vero esercizio non è cambiare ma adattarsi al cambiamento.
Postura ed equilibrio…
Il mio amico Fabio, durante le lezioni ripete sempre alcuni mantra (lui non lo sa …ma forse è un po’ Buddista) : “i piedi ben piantati sulla tavola”, “sentire il peso sui talloni”,  “ginocchia piegate”, “proiettarsi in avanti quando si parte sul picco dell’onda ma non sbilanciarsi però….” etc
Quando queste ed altre cose inizi a non sentirle più solamente con le orecchie ma con i piedi, con il sedere e con le ginocchia allora forse stai facendo qualcosa di più che imparare a surfare ; ti stai procurando la possibilità di riappropriarti di sensi sopiti, di modi di sentire e di percepire te stesso che poi ti porti poi anche fuori dell’acqua.
Proiettarsi in avanti ma senza sbilanciarsi è però un bel problema, carico di analogie.
Una cosa è sicura, che se non fai nulla e “aspetti”, se non sei attivo, la tavola allora ti sfugge sotto i piedi, cadi e l’onda ti macina.  Se ti sbilanci troppo in avanti, idem.
Le prime volte cerchi di seguire i movimenti della tavola. Quando riesci ad assecondarla e non ti disarciona è un buon risultato e allora sei tutto contento.
Il salto di qualità lo fai però quando capisci (vedi paragrafo successivo) subito la situazione che si crea e la sfrutti per fare quello che tu vuoi fare.
Stiamo parlando di surf ?!
Capire, interpretare il momento…
Il bello di questo sport così come nel windsurf, è che il contesto cambia. Cambia di continuo, anche in uno spazio di tempo breve.
Gira il vento, la marea e le onde cambiano forma, potenza, velocità. Quello che facevi prima sulle onde lisce e regolari andava bene e ti faceva divertire; poi qualcosa cambia e non va più bene.
Qualcosa è cambiato e quindi allora anche tu devi cambiare. Per cambiare devi capire e per capire devi leggere ed interpretare quello che ti circonda.
Devi interpretare, perché quello che ti circonda non usa il tuo linguaggio, devi capire ed imparare anche quello.
Quando le onde arrivano da lontano dice il mio amico Paolo che le devi leggere e capirle prima, perché quando sono dietro o davanti a te, non hai più tempo, devi agire.
Dove e quando…
Vorrei poter dire che alle  spalle ci siano migliaia di uscite ed esperienze vissute in terre lontane ed esotiche.
In realtà ci sono pochissimi fortunati viaggi e tanti “sospiri” tirati salutando amici che partono o guardando le foto che pubblicano oppure sfogliando i servizi di Windnews  ….(ve possino….)
Ma il mio mondo, come quello di molti altri, è essenzialmente questo. Le “mie onde” sono qui.
Sono qui quando facendo lo slalom tra lavoro, famiglia riesco ad andare al mare e sono qui anche quando non riesco ad andare.
Sono qui anche quando potrei andare e poi non vado…… poche volte perché ho la fortuna di avere amici che ti strappano via dai momenti in cui vorresti arrenderti e pensi che “lavori per comprarti tavole e vele che non puoi usare perché devi andare a lavorare”.
Ultimamente mi sono accattato una GoPro., un giocattolo intrigante. Oltre ad avere una valenza “didattica” finalizzata a vedere gli errori che si fanno (e non è poco), è interessante vedere come, ritagliando una azione all’interno di un obiettivo e quindi isolandola dal contesto, la stessa appare più bella.
L’onda si mostra in tutta la sua magia ed il surfer nonostante magari qualche errore esprime il suo stile ed il suo modo di vivere quel momento che non sarebbe poi molto diverso (ripreso dalla stessa camera) da quello che avrebbe vissuto  in qualche località esotica tanto agognata.
Con questo non vuol dire che surfare qui o alle Hawaii sia la stessa cosa, ma difficilmente si può pensare che “saremmo un’altra persona “.
Qualche analogia con la vita di tutti i giorni ?
Morale…
Ci sono persone che praticano tranquillamente questo sport (o altre attività non solo sportive) senza farsi troppe domande se non come raggiungere gli obiettivi ed i target che si sono prefissati.
Altri che invece hanno bisogno di contestualizzare quello che fanno in un “irraggiungibile significato del senso della vita”.
Non credo ci sia un modo giusto od uno sbagliato ma per quanto mi riguarda, quando cerco di capire qual è il mio, mi torna in mente una bella frase tratta da un classico della mia generazione “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”:
“Vivere soltanto in funzione di una meta futura è sciocco. È sui fianchi delle montagne, e non sulla cima, che si sviluppa la vita.”  Robert M. Pirsig
Johnny Banzai

 

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9 replies


  1. Grande personaggio il mio amico Max!
    W Windnews !!
    Roberto


  2. Grazie per aver ospitato “le riflessioni”. Siete il top per chi vive (o ci prova…) la passione per il windsurf….e ora anche per il sup ;-)


  3. Bella Johnny… meditato e profondo.complimenti.

    Sono over50, stavo pensando anch’io ad un articolo “interiore”….
    per capire “quanto manca” alla fine della mia (quasi) inutile caccia alle onde…
    ma è un argomento troppo negativo..
    meglio rimandare. ;-)


  4. Fed, se non la vedi, credo che la fine non ci sia e comunque ogni volta che riusciamo a rubare un uscita in windsurf, in sup o cmq vuoi, è una in più, un pezzo in più di esistenza felice !!!!
    Diceva la nonna di un mio amico: “Il pane è fatto di briciole”


  5. Fed… mizzeca… depressione da menopausa?!
    Ecchecazz… 50 ce lo ho anch’io più una riga di acciacchi da far paura…. eppure la caccia continua!
    “Per tutti il passaggio da un’età all’altra è stato difficile” diceva Bear… basta non pensarci e mantenere lo spirito, almeno quello… giovane!!!
    Tanto poi prima o poi si finisce tutti nello stesso caruggiu!
    Ma torniamo alle cose serie… ti stai allenando in mountain bike?!
    La 24 ore, a cui sei iscritto si avvicina e dopo quella… allora si che ti potrai lamentare!


  6. Articolo interessante ed impegnativo che apparentemente cozza con la leggerezza della ricerca spasmodica della “condizione”.
    E’ proprio questa ricerca che ci rende bambini; bambini felicissimi quando abbiamo giocato con la natura.


  7. Smink, tra me e la 24h a Finale… c’è l’ennesima risonanza alla cervicale…. anche la MTB sembra essere uno sport poco adatto >50…
    cmq (x ora) BOYAKIMOLLA….. :-)


  8. Caro fed, non ti conosco di persona ma da over (e manco poco) 50 concordo con l’ultima affermazione.
    A perdere terreno è un attimo….a riconquistarlo una gran fatica. Per cui……
    D’altronde è tutta questione “di centimetri” e non lo afferma solo il buon “Rocco”……. https://www.youtube.com/watch?v=X3kSC9aIefU
    ;-)


  9. Una grande profondità nelle tue parole, che ho apprezzato molto. Quasi quasi potrei anche io da poco passato la soglia dei 40 iniziare a praticare questo particolare sport !

    Max

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